Apr 15, 2015

La rete è ormai invasa di articoli sui Big Data, ognuno con una storia da raccontare, decorati da frasi d’effetto e numeri che testimoniano l’oggettiva importanza dell’analisi dell’informazione. 

Semplice quindi dimostrare la bontà di una simile soluzione in un mondo dove l’informazione è diventata la maggiore ricchezza. Tuttavia, il mezzo da utilizzare è ancora lontano dall’essere compreso, percepito come qualcosa di oscuro, una black-box senza un manuale d’istruzione: forse è proprio questo che spaventa di più, lo strumento abilitante. 
Il Big Data però è qualcosa di diverso, è prima di tutto una filosofia, un approccio al dato, una metodologia. 
Forse è 
proprio questo il gap da colmare che pochissimi articoli affrontano. Ci si sofferma troppo a pensare se tutto ciò serva realmente, o se non sia il prodotto di un’accurata campagna marketing, mentre coloro che hanno già cambiato il loro modo di pensare stanno guadagnando un vantaggio competitivo che, per gli outcome prodotti, sarà sempre più difficile da colmare. 

 

 

Scopriamo ora la storia di Florence Nightingale e di come i Big Data sono stati per lei la strada verso una vittoria.

Florence Nightingale nasce a Firenze, da qui il suo nome. Florence aveva anche una sorella maggiore, Parthenope, nome che i genitori le affidarono quando nacque a Napoli. La modalità con cui i genitori scelsero i nomi è sicuramente divertente, non è però oggetto di questo post. La piccola Florence capisce fin da molto giovane la sua vocazione, tanto da decidere di diventare infermiera. La sua passione però è qualcosa di più di un semplice impiego, lo potremmo definire un bisogno innato di aiutare il prossimo, soprattutto le categorie più deboli come i poveri o le vittime di guerra. 

È così che Florence arrivò all’ospedale Barrack di Scutari in Turchia. La prima cosa che colpì Florence al suo arrivo erano le scarse condizioni di salute in cui l’ospedale giaceva. Certo, quando il personale scarseggia e le guerre non lasciano tempo nemmeno per i rifornimenti, anche le regole di base vengono dimenticate. Purtroppo però il tasso di mortalità era troppo alto, attorno al 42%. Quando Florence arrivò la prima volta era accompagnata da ben 48 collaboratici. Dopo solo un anno solo 12 di loro sopravvissero. La mortalità superava di gran lunga la popolazione vittima della guerra.

Numeri di questo tipo, oggi, sarebbero capaci di risvegliare l’opinione pubblica e mobilitare l’attenzione internazionale, ma in quel paese così lontano a nessuno importava. In fondo c’era la guerra e la guerra provoca morti. Ovvio. Florence però non era una che le cose se le faceva andare bene. Purtroppo i dati oggettivi, quasi visivi come la sporcizia nei corridoi, la mancanza di un ricambio d’aria adeguato, o persino lettini sparsi a caso lungo i corridoi, sembravano non essere sufficienti a dimostrare che erano proprio quelle le principali cause di mortalità.

E fu così che Florence decise di vestire anche i panni di una data science, iniziando a raccogliere sempre più dati che potessero dimostrare e rendere inconfutabili le sue idee. Grazie anche al ruolo di sovraintendente del corpo di infermiere conferitogli dal governo di Sua Maestà, riuscì anche a portare all’attenzione dei piani alti le sue testi. Florence, abituata a svolgere i suoi compiti con precisione, applicò personalmente anche modelli statistici ai dati raccolti, cosa che nell’ospedale non era mai stata fatta. 

Il risultato fu un fascicolo di centinaia di pagine con un’analisi dettagliata della situazione. Ormai nessuno poteva più ignorarla. Le prove erano schiaccianti, così come i risultati: il tasso di mortalità si abbassò al 2%, dopo un’adeguata ristrutturazione dell’ospedale ovviamente!  

 


Quanto sarebbe stata d’aiuto una soluzione Big Data a Florence? 
Quanto più velocemente sarebbe stata in grado di 
produrre il suo rapporto se avesse avuto a disposizione la tecnologia giusta? 
Quante più vite avrebbe salvato? 
Ma era 
la Guerra di Crimea e correva l’anno 1858.

Ciò che appare ancora più sorprendente è che Florence aveva capito non soltanto l’importanza della raccolta e dell’elaborazione del dato, quanto la sua corretta rappresentazione come leva abilitante per l’individuazione di insight di difficile riconoscimento (o peggio ancora la volontà implicita di non voler accettare una dato quasi ovvio come la storia ci racconta.)  
Ecco perché una soluzione Big Data va sempre accompagnata con un adeguato strumento di front-end (quando non integrato nella soluzione del vendor) in grado non solo di rappresentare i dati efficacemente e di elaborarli anche senza complessi skill tecnici, ma renderli facilmente fruibili e ricercabili, con tempi di sviluppo rapidi e pronti ad affrontare le numerose sfide che ancora ci attendono.